28 luglio 2006

Il Castello di Quona

Il territorio dei “Popoli di San Martino e San Giusto a Quona”, così come era definito nelle belle mappe del Paganelli (1774) può essere racchiuso a sud dall’Arno, a ovest dal borro del Pelacane e dalla sommità di via dello Stracchino alla cui sommità è posta una roverella di circa 200 anni, a est dalla strada che da Castel Sant’Angelo sale verso San Martino e a nord dal tabernacolo di Montefiesole.
Intorno allo stesso anno risultano abitarvi 45 famiglie di non possidenti, sostanzialmente mezzadri o lavoratori senza terra, per una popolazione di 403 anime: 42 erano le case abitate da agricoltori, tre da altri ed una risultava disabitata. Si segnala poi
la presenza di un prete che dimorava, molto probabilmente, nella canonica della chiesa di San Martino a Quona.
Le famiglie importanti di allora erano i Gatteschi, i Gondi, gli Albizzi, i Rossi, i Senbalì Martelli, i Ricasoli, i Frescobaldi ecc: sostanzialmente coloro che possedevano la terra e le case coloniche.
Oggi il popolo di Quona è evidentemente molto cambiato; di agricoltori neanche l’ombra, semmai coltivazioni nel tempo libero e aziende agrituristiche che producono olio e vino, mentre le case coloniche, dopo l’abbandono degli anni successivi al boom economico degli anni ‘60, sono tornate a popolarsi con una funzione residenziale.
Le strade comunicative sono sempre le stesse del ‘700, solo leggere variazioni, e molte di queste vicinali continuano, per fortuna, ad essere non asfaltate. Le modificazioni hanno sostanzialmente interessato il fondovalle, verso l’Arno, con l’orribile intervento urbanistico-edilizio di Mezzana, l’ampliamento dell’area ferroviaria, lasciando quasi inalterato il sistema collinare la cui sommità è Poggio Bardellone (490 m.s.l.m.).

Il Castello di Quona
Sembra che i Quona fossero signori di origine longobarda e furono, probabilmente, vassalli dei ben più famosi conti Guidi.
Pochi sono i ruderi che rimangono del castello di Quona collocato a circa di 340 m. di altitudine.
Presso questi resti gli scavi occasionali di qualche volenteroso hanno ridato luce ai resti dell’abside di una chiesa romanica, certamente quella di San Giusto, che dava il nome ad uno dei popoli della lega di Monteloro, ma che già non figura più nelle Decime degli anni 1295-1304.
Uno dei più antichi cronisti fiorentini, Sanzanome, narra la rovina del castello di Quona, avvenuta all’incirca verso il 1143 nella guerra dei fiorentini contro Guido Guerra, la cui causa remota era la divisione dell’eredità carolingia, che vedeva contrapposti i Guidi e gli Alberti: nell’occasione fu anche distrutto il convento delle monache di Rosano.
Intanto si hanno notizie dalla storia mdella famiglia Filicaia che a meno di cento chilometri di distanza dal Mons Allonis, che nel 988 è chiamato ufficialmente Montacone (odierna Montaione), alla fine dell’XI secolo, una famiglia chiamata Tebaldi o della Vitella o d’Aquona (dal luogo dove vivevano, il castello di Quona), domina la città di Pontassieve, a est di Firenze. Questa famiglia prenderà poi il nome di “Filicaja” (felceto, cioè area coperta da felci) dal toponimo originario dell’area coperta dal castello, detta anche Costa Filicaia. I Tebaldi (o della Vitella) cambiarono nome in "Filicaja" coll’avvento a Firenze della Repubblica per apparire non nobili e quindi poter ricoprire cariche pubbliche.
La conquista e la distruzione del castello fu l’episodio iniziale della guerra che il Comune di Firenze mosse al conte Guido e che si concluse nel 1153-54 con la distruzione delle mura di Monte di Croce, sopra Molino del Piano.Altre notizie si traggono da Lapo da Castiglionchio, rampollo dei da Quona, che scrive nella "Epistola":
"...il primo luogo che i nostri progenitori possedettero (...) fu un castello nel paese di Valdisieve che si chiama Cuona, e ancora così si chiama il poggio e il sito del luogo presso alla città di Firenze a dieci miglia."
Nel 1223 il sito è denominato come castellare di Quona, termine usato per identificare insediamenti un tempo muniti di fortificazioni.
Dal “Dizionario geografico fisico storico della Toscana di Emanuele Repetti” (1833) si legge:
“Quona, Cona e Torre a Cona o a Poni nel Val d’Arno sopra Firenze.- Tre luoghi diversi portano il nome più o meno alterato di Quona, o Cuona, dei quali uno solo ha dato il titolo a due popoli attualmente riuniti (S: Martino e S. Giusto a Quona, o Cuona) nel piviere di Remole, Comunità giurisdizione e circa miglia toscane tre a maestro di Pontassieve, Diocesi e Compartimento di Firenze".
In questo luogo di Quona o Cuona fu un castello di magnati diverso dal Quona di Pitiana e dal Quona della Torre a Ponia, o Poni.- Questo di Remole era situato nel risalto di uno de’poggi che diramansi da Montefiesole fino al Pontassieve e che dividono le acque scorrenti dal lato di ponente direttamente in Arno da quelle che dalla parte orientale influiscono in Sieve.
Di cotesto castello di Quona diede ancora notizia Messere Lapo da Castiglionchio, quando in una sua epistola scriveva al figlio, "
che costà era stato un castello, che chiamassi Cuonna, e che ancora così si chiama il poggio presso la città di Firenze a dieci miglia, castello che fu fortissimo di sito, di mura e di rocca inanzi che venisse disfatto del tutto per il comune di Firenze”.
Notizie sulla distruzione del castello le troviamo in R. Francovich che scrive (1976): “Proprio in questa direttrice, infatti, si dispiegò una energica azione cittadina nel corso del XII sec., cui solo accenno in quanto ci troviamo già al di fuori del territorio compreso nel nostro campione. Si tratta della distruzione del castello di Quona (a 15 km dalla città) che controllava la via di transito verso la Romagna".
Nel 1973, una ricognizione nell’area del castello di Quona permise il recupero di frammenti ceramici di epoca medievale (ceramiche acrome e maioliche).

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Visiterò sicuramente questa località per fare alcune foto.
Ferdinando

Anonimo ha detto...

Complimenti! Finalmente qualcuno che apprezza le bellezze dietro casa. Grazie. Manuela

Anonimo ha detto...

Complimenti, bel lavoro! E bel posto, con quelle strade vicinali che "continuano, per fortuna, ad essere non asfaltate"...
Stefano